Autore
: Elisa EliniLe case operaie, in totale 50, sono il tipo di edificio più presente a Crespi d’Adda, vengono costruite dal 1880 in poi a seguito della scelta del figlio del fondatore,
Silvio Crespi, che decise di abbandonare il modello dei
palazzotti migliorando le condizioni abitative dei suoi operai.
La struttura e la disposizione furono decise anch’esse dallo stesso
Silvio Crespi che volle imitare lo stile inglese che vide durante i suoi viaggi in Inghilterra, considerata come modello industrializzato, e che fu presentato alla prima esposizione universale del 1851, tenutasi proprio a Londra.
Le case e i loro giardini sono disposte ordinatamente lungo strade parallele e perpendicolari. Hanno perimetro quadrato e sono unite in blocchi, tramite recinzioni dei giardini, a formare isolati delimitati dalle strade stesse. Le distanze e il ritmo geometrico dato alle villette sottolineano l’idea di equità sociale che è alla base di tutto il villaggio di Crespi d’Adda.
Per lo stesso motivo, eliminare le differenze tra operai, le abitazioni sono pressoché tutte uguali tra loro: strutture cubiche che si innalzano su due piani; l’estetica finale delle case risulta semplice ma gradevole all’occhio. Ogni casa è fornita del proprio giardino; inizialmente l’idea era quella di mettere a disposizione un orto per villetta in modo da riuscire a controllare l’operaio anche nel suo tempo libero, così da limitarlo nei comportamenti, evitando per esempio la formazione di aggregazioni operaie, l’orto serviva però anche agli stessi operai per passare tempo all’aria aperta e quindi per mantenersi in salute ma anche per aiutare economicamente la famiglia, riuscendo così a produrre il proprio cibo.
Le case, prevalentemente bifamiliari, sono delimitate da delle basse cancellate realizzate intrecciando le ’reggette’ dell’imballaggio del cotone grezzo spedito alla
fabbrica, una forma di re-impiego di un materiale destinato a divenire uno scarto nell’ambito della produzione di
fabbrica.
Gli alloggi destinati agli operati del villaggio inizialmente decorati con cornici marcapiano e ghiere in cotto attorno alle finestre -simili a quelli del
medico e del cappellano ancora oggi conservate - sono stati semplificati nel loro aspetto durante il periodo fascista quando gli orpelli e gli ornamenti sono stati eliminati. Nel 1929 quando il villaggio operaio di Crespi d’Adda prende il nome di Tessilia si decise di modificare le strutture per renderle più moderne e di seguire lo ‘stile nazionale’ che rappresentava l’epoca fascista. In accordo con tale stile, secondo cui la linearità delle case stava a rappresentare la purezza morale degli stessi fascisti, le facciate delle case, inizialmente tutte ocra, cambiarono colori e all’insegna dello spirito patriottico del tempo, diventando verdi, bianche o rosse. Al fascismo si deve anche l’ammodernamento: infatti vengono introdotti i bagni modificando la struttura cubica delle case e aggiungendo un parallelepipedo sulla parte posteriore delle abitazioni.
Le villette, al contrario dei
palazzotti, ospitavano una media di due o tre nuclei familiari per casa solitamente legati da parentela onde evitare liti o contrasti tra vicinato. Gli operai che usufruivano di questo servizio non dovevano pagare un vero e proprio affitto ma veniva trattenuta una parte dello stipendio; essi non dovevano nemmeno preoccuparsi della manutenzione dell’abitazione, assegnata a specifici operai individuati dallo
stabilimento.
Queste case furono lo strumento principale per creare un clima lavorativo favorevole all’economia della
fabbrica, evitando di avere “operai girovaghi” stabilizzando e controllando la manodopera e facendo vivere all’operaio una vita apparentemente libera e tranquilla;
Silvio Crespi a riguardo scriveva:
“ultimata la giornata di lavoro, l’operaio deve rientrare con piacere sotto il suo tetto: curi dunque l’imprenditore ch’egli si trovi comodo, tranquillo ed in pace: adoperi ogni mezzo per far germogliare nel cuore di lui l’affezione, l’amore alla casa. Chi ama la propria casa, ama anche la famiglia e la patria, e non sarà mai la vittima del vizio e della neghittosità.”Fonti: